Buonasera amici di itMalta. Questa sera mi trovo all’Istituto italiano di Cultura. Tra un po’ andremo tutti a teatro Manoel a Valletta per ascoltare l’imperdibile concerto dei Doctor 3, il trio jazz formato da Fabrizio Sferra, Enzo Pietropaoli e Danilo Rea.


Doctor 3, voi siete famosi e siete corteggiati da grandi nomi della musica italiana. Parliamo di Claudio Baglioni, Gino Paoli, Mina, solo per citare alcuni. Chi di voi vuole raccontare agli amici che ci ascoltano la vostra storia professionale?

“Tutto è iniziato così. Fabrizio, che suona la batteria ci chiama, molti anni fa, e ci propone di suonare insieme. Avevamo già suonato insieme ma alternandoci, mai in trio. Fabrizio ha avuto questa idea che è durata 20 anni. È stata un’ottima idea, ci siamo trovati molto bene musicalmente, un po’ meno umanamente parlando, ma poi, siamo diventati amici lo stesso e abbiamo trovato quella che io direi è la cosa più semplice da fare musicalmente, però anche la cosa meno battuta. Abbiamo iniziato ad improvvisare non più sui grandi standard del jazz ma sulle canzoni dei nostri anni, dalla nostra adolescenza ad ora. Mi riferisco a grandi gruppi come i Beatles, come i Rolling Stones, a grandi cantautori come Battisti, De Andrè. Abbiamo cominciato a trovare un modo per poter improvvisare su questa musica. Non è una cosa semplice, bisognava trovare un linguaggio diverso da quello usuale del jazz che è ormai un linguaggio standardizzato”.

trio jazz Doctor 3
Nella vostra lunga carriera siete venuti a contatto con tanti generi musicali. Durante questo percorso siete riusciti a trovare il vostro stile unico.

“Si, in effetti, lo dico con modestia però abbiamo fatto qualcosa che non era mai stata fatta, neanche negli Stati Uniti. Quando abbiamo iniziato nel ’98, il nostro primo disco fu un po’ una bomba. Non solo, i giornalisti inaspettatamente ci votarono come miglior disco di jazz italiano dell’anno, creammo un linguaggio“.

Avete suonato con i più grandi nomi del jazz internazionale. Cosa si prova a poter dire una cosa del genere?

“Sicuramente poter suonare con i grandi nomi del jazz è una grande gioia, una grande felicità e anche un  bagaglio di esperienza notevole. È un grande privilegio. Questa esperienza che ognuno di noi ha fatto in contesti diversi, ci ha arricchito tantissimo e poi naturalmente ognuno di noi la porta nelle cose che fa”.

Una domanda per Danilo. Hai un talento naturale per l’improvvisazione che, come hai detto una volta, “deve restare aggrappata a una melodia. È lei il contatto. Il ponte con chi ti ascolta”. Da cosa nasce l’impovvisazione?

“L’improvvisazione o la ami o non la ami. Nel senso che ci sono musicisti che decidono di suonare, per esempio musica scritta, cioè la classica dei grandi autori, e decidono di passare tutta la vita a cercare l’interpretazione perfetta. Ci sono molte scuole di pensiero anche riguardo le varie interpretazioni delle sonate, per esempio per pianoforte dei vari autori classici. Poi, ci sono quelli che hanno voglia di sentirsi un po’ più liberi di improvvisare. Ciò detto, i grandi musicisti del passato quindi i classici, erano dei grandi improvvisatori. Bach, Mozart, Beethoven erano soliti improvvisare. Noi tre, posso parlare a nome di tutti, ci siamo sempre sentiti degli improvvisatori”. 
“L’improvvisazione è un linguaggio. È come la grammatica. La grammatica è fatta di parole, frasi ,verbi e tante cose e se non la conosci, è difficile improvvisare, per cui semplicemente devi conoscere le regole di questo linguaggio per poi esprimerti in maniera autonoma. Per esempio, io imparo le regole della grammatica e poi leggo la Divina Commedia. Oppure, imparo le regole della grammatica, parlo liberamente e creo una sorta di poesia estemporanea. Ecco, questo è l’improvvisazione nel jazz musicalmente se paragonato alla prosa. Quindi in pratica improvvisare è come parlare. L’improvvisatore è un compositore istantaneo“. “Un compositore si prende magari un mese di tempo per comporre, per scrivere 10 pagine di musica, l’improvvisatore lo fa all’istante. Quindi è questa la grande differenza”.

 Doctor 3
Voi per lavoro viaggiate sia in Italia che all’estero e venite a contatto con tantissima gente. Oggi ci troviamo all’Istituto italiano di Cultura La Valletta, che è una delle istituzioni italiane che promuove la cultura italiana all’estero. Come vi accolgono gli italiani in giro per il mondo e come vi hanno accolto gli italiani che vivono a Malta?

“Parlando di Malta, l’impressione che è stata subito evidente, è di grande familiarità. Anche solamente per la lingua, nel senso che ci siamo trovati a nostro agio immediatamente a poter parlare la nostra lingua, molte persone qui parlano italiano. Sembra di stare a casa quindi l’accoglienza non può essere che delle migliori. Siamo fortunati  perché viaggiamo, conosciamo il mondo. È quello che tutti desiderano fare e noi lo facciamo per lavoro. Noi stiamo lavorando con la New Age Productions e una cosa molto importante è anche il lavoro dell’Istituto di Cultura. Io ricordo che più di trent’anni fa andammo a Dakar e da allora abbiamo cominciato a collaborare con l’Istituto di Cultura. Da allora abbiamo girato praticamente il mondo grazie all’opera svolta per diffondere la cultura italiana e la musica. Siamo riusciti a portare qualcosa di noi e dell’Italia in giro per il mondo. Devo dire che gli italiani sono molto amati. La melodia italiana è capita, compresa, ricordata e apprezzata all’estero. Abbiamo sempre collegato la nostra improvvisazione alle melodie importanti, all’opera di grandi autori come Guccini, Verdi, Mascagni”.

Doctor 3, da quando avete iniziato a fare jazz tante cose sono cambiate, i mezzi di comunicazione sono cambiati. Che rapporto avete con i social?

“Ho un rapporto molto molto difficile con i social.
Io mi ritengo “a vapore”. Mia moglie mi aiuta in questo. Capisce la necessità di comunicare tramite i social quindi mi aiuta, mi sta vicino e mi sponsorizza. In un certo senso è lei che manda avanti tutta la mia parte social. Mi rendo conto che è una cosa importante che non si può trascurare ma,  mi rendo anche conto che il rapporto migliore è quello di empatia con chi ti viene ad ascoltare”. “I social sono uno strumento, dipende da come lo usi. Può essere uno strumento che ti si può rivoltare contro ma bisogna comunque fare i conti con questa nuova realtà”.
“La nostra generazione ha un rapporto relativo con i social”.
“Il carattere influisce molto nel rapporto con i social”.

Grazie mille ai Doctor 3 per questa intervista
Doctor 3: video intervista al famoso trio jazz italiano ultima modifica: 2019-07-03T17:06:59+02:00 da Paola Stranges

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