Mentre siamo tutti un po’ disorientati a causa della pandemia, divisi e spaventati, messi in ginocchio da una virale entità biologica visibile solo al microscopio elettronico e chiamata Covid19, una nuova definizione di spazio e tempo s’impone alla nostra attenzione.
Come ben sappiamo la pandemia che stiamo vivendo, oltre ad un clima d’incertezza e timore, ci ha portato ad un periodo di confinamento forzato all’interno delle nostre case. Tutti noi abbiamo fatto i conti con qualcosa d’imprevisto a cui non eravamo assolutamente abituati, una specie di salto nel passato che ci ha richiesto di modificare drasticamente i ritmi frettolosi delle nostre giornate e di adattarci a spazi ridimensionati.
Forse questa pandemia ci fa sentire troppo vicino ad alcuni e troppo lontani da altri
Dell’ultima pandemia che aveva colpito l’avanzato occidente ne hanno memoria solo i nonni. La tristemente famosa “Spagnola” fu un’influenza mortale che, nei primi decenni del secolo scorso, mieté vittime in tutto il mondo (si stimarono 50 milioni di decessi su una popolazione mondiale di circa due miliardi). Ma quelli non erano i tempi della globalizzazione e del consumismo sfrenato. Oggi per noi è tutto diverso, anche le conseguenze più inaspettate. Rinchiusi nelle nostre abitazioni-rifugio, ma connessi in tempo reale con tutto il pianeta, stiamo sperimentato una nuova gamma di emozioni, spesso contraddittorie. E come se fossimo, al tempo stesso, troppo vicini ad alcuni e troppo lontani da altri.
Siamo annoiati e stressati, preoccupati ma anche rilassati. È possibile che questa terribile esperienza ci stia dando una lezione? Possibile che ci stia raccontando qualcosa in più su noi stessi? Una delle prime considerazioni che saltano all’occhio è che durante una pandemia s’impara a fare la distinzione tra “necessario” e “superfluo”. Si scopre d’improvviso che la vita può essere anche una cosa semplice, e che molte delle “situazioni” di cui ci siamo riempiti l’esistenza non sono così fondamentali.
Ma dove stiamo andando?
Una seconda considerazione potrebbe dirci che forse non siamo più abituati ad accogliere “la libertà” insita nel “tempo libero”. Non sappiamo più vivere un tempo non organizzato o scaglionato da impegni e attività di vario genere. Suonerie di cellulari che ci svegliano al mattino, trilli che ci ricordano appuntamenti e scadenze, gremiti centri commerciali, strade trafficate, colleghi d’ufficio con cui bere frettolosi caffè, bambini da accompagnare a fare musica, sport, a studiare l’inglese, alle feste, e poi le palestre, le cene, e le corse per mantenersi in forma e quelle per arrivare in tempo… insomma tutta una vita percorsa in volata senza più avere il tempo di fermarsi a pensare: “dove sto andando”?
Ci si potrebbe infine chiedere: siamo sicuri di non aver esagerato? Tutti gli elementi che affollano la nostra quotidianità ci completano o che ci distolgono? Sono la nostra salvezza o la nostra dannazione? Le relazioni che abbiamo con “gli altri” sono autentiche e appaganti? Ci regaliamo mai lo spazio per pensare al senso delle nostre azioni? E quindi, possibile intravedere anche in questa calamità, che ha travolto le nostre vite e le nostre certezze, una sorta di piccolo rovescio della medaglia? Possibile pensare che un giorno, finito questo incubo, tutti noi, alla luce di una maggiore consapevolezza, riscopriremo il valore delle relazioni umane e di una vita impostata non solo sui consumi e sui profitti?