Buongiorno amici di itMalta e benvenuti. Oggi mi trovo a Valletta nella chiesa di Santa Caterina e ho il grande onore di avere al mio fianco Giovanni Battista Gauci, da tutti conosciuto come Don Gino.

Cominciamo col raccontare  come Giovanni Battista Gauci è diventato Don Gino

“Dobbiamo andare nell’antico testamento. Fino a 4 anni i miei genitori mi chiamavano Gianni, poi è arrivato un padre domenicano amico della mia famiglia che ha suggerito di chiamarmi Gino e da allora hanno cominciato a chiamarmi tutti Gino anche se mio papà ha sempre continuato a chiamarmi Gianni”.

Lei come è diventato sacerdote?

Io sono figlio unico. Ho vissuto con papà e mamma che avevano molta cura di me. A Malta, era molto popolare andare alla dottrina cristiana, il Museo. Noi ragazzi andavamo tutti lì e per me, quello era ritrovare i fratelli, fratelli che non avevo naturalmente e loro per me diventavano i miei fratelli. Verso i 15, 16 anni mi è venuta l’idea di entrare in seminario. Un’idea che è rimasta lì, tanto che, quando ho finito le medie superiori ho passato quasi un anno e mezzo a pensare a cosa dovevo fare. Poi, nel ’70 ho fatto tutti i certificati sono entrato al seminario maggiore e ho cominciato a studiare filosofia e teologia. Dopo sette anni di seminario, nel ’77, sono stato ordinato sacerdote.

Don Gino, è corretto dire che lei è il parroco gli italiani a Malta?

Per questi 35 anni è corretto. Nessun parroco di lingua tedesca o inglese o francese o spagnola ha fatto tutti questi anni. Noi avevamo un insegnante maltese che era un avvocato, Giorgio Zammit che amava l’italiano e ci ha fatto innamorare di questa lingua. Grazie a lui ho imparato l’italiano.

Don Gino ci racconti un po’ di lei

“Mio papà era un artigiano, faceva le statuine di terracotta. Io da ragazzino sono cresciuto con pennelli, matite, argilla facendo anch’io statuine dipingendo e disegnando. Ho portato tutto questo con me in seminario. Anche i professori della nostra facoltà di teologia mi conoscevano per il disegno, io dipingevo e disegnavo, così, quando si doveva preparare una coreografia o fare la copertina di un libro si rivolgevano a me. Il mio professore di filosofia mi disse che voleva mettermi in contatto con un istituto d’arte, con la scuola Beato Angelico. Una scuola con una tradizione importante nel nord Italia. Io dissi di no.
A marzo, a tre mesi dall’ordinazione, c’era qualcosa a Roma per i seminaristi e abbiamo avuto la possibilità, grazie al nostro rettore, di andare a partecipare a questo incontro a Roma. Lui è venuto a sapere di questa cosa e mi ha detto, ora che sei a Roma fai un salto a Milano, e ha continuato ad insistere. Allora ho detto di si e ho portato con me dei disegni.
Arrivo a Milano, entro in questo grande palazzo che era la scuola Beato Angelico e qui c’erano, il laboratorio di architettura, il laboratorio di scultura, il laboratorio di pittura, il laboratorio di mosaico, per me era il paradiso. Ho fatto vedere i miei disegni al direttore che mi ha detto che ad ottobre avrei potuto cominciare a frequentare la scuola”. Sono sceso a Malta e ho raccontato al Vescovo tutto quello che era successo.
Fui ordinato sacerdote nel giugno del ’77.
“Il Vescovo mi manda a fare l’assistente parroco a Cospicua. Io avevo detto al parroco che avevo avuto un piccolo contatto a Milano. A metà settembre arriva una lettera da Milano che mi sollecita a dare la mia risposta per i corsi che iniziavano ad ottobre. Sono andato dal Vescovo per chiedere la sua opinione e lui mi ha detto che dovevo essere io a decidere. Decisi di andare a studiare al Beato Angelico“.

Gli anni a Milano al Beato Angelico

“È una cosa che avevo sempre sognato! L’idea era di studiare lì per due anni… ho scelto architettura ecclesiale. Nel tempo libero rimanevo nei laboratori a fare pratica. Inoltre, il sabato sera e la domenica mattina andavo a dare una mano in una parrocchia. Così ho fatto i due anni di architettura”.

Gli studi all’accademia di Brera

“Un mese prima dell’esame, verso maggio, arriva il  professore che mi aveva fatto conoscere questa scuola e mi dice che dopo gli esami avrei dovuto iscrivermi all’Accademia delle Belle arti di Brera. L’accademia avrebbe dato una borsa di studio ai primi dieci, io arrivai ottavo. Il Vescovo mi diede il permesso di studiare a Brera per quattro anni.”
Sono stati anni molto importanti. Si era a contatto con professori di storia dell’arte importanti. Era bellissimo, studiavamo anatomia, studio del colore, pittura. Poi, essere a Milano significava anche essere vicino alle grandi città come Monaco di Baviera, Parigi ed altre”.
Poi è cresciuta un’amicizia con gli altri studenti, io ero l’unico sacerdote, ero la mosca bianca. Non andavo vestito da prete e gli studenti si continuavano a chiedere chi era questo ragazzo che non bestemmiava, non fumava, non faceva scherzi alle ragazze, non diceva parolacce. Poi hanno scoperto che ero un prete”. “È nata un’amicizia, eravamo cinque ragazzi senza mezzi che, ogni volta che c’era qualche mostra in queste grandi città, viaggiavano la notte in treno arrivando nella città al mattino per vedere le grandi mostre. Per esempio una volta c’era una mostra di Picasso a Parigi, siamo partiti da Milano la notte, la mattina abbiamo visto la mostra e siamo rientrati il pomeriggio. Un’altra volta siamo stati a Nizza  per l’ inaugurazione del museo di Chagall.

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Sono anche un appassionato di musica. Quando ero al Beato Angelico a studiare, avevo un professore di arte. Suo fratello mi procurò il permesso per vedere 34 concerti alla RAI il venerdì sera gratis. Così ogni venerdì sera andavo al conservatorio Giuseppe Verdi e ascoltavo i maestri più importanti. Poi ho saputo che il giovedì alle 15.00 c’era la prova generale dei concerti, che è sempre più interessante del concerto. Ho fatto amicizia con il bidello del comune in galleria a Milano. Lui distribuiva agli anziani la tessera per entrare gratis per la prova generale ed ha dato anche a me questi biglietti.
Inoltre, frequentavo persone importanti della musica maltese che allora studiavano a Milano tra cui Mirian Gauci soprano maltese e suo marito, che è direttore di orchestra”.

Il ritorno a Malta

“Dopo sei anni a Milano, ritorno a Malta”.
“Appena arrivato mi chiama l’università per insegnare iconografia cristiana alla facoltà di teologia. In quei sei anni a Milano mi sono specializzato in iconografia cristiana cioè come il messaggio cristiano è stato tradotto in immagini. Per esempio la crocifissione di Gesù, tutti i simboli legati alla crocifissione, tutti i personaggi. Un professore universitario viene a sapere della mia formazione e mi invita a lasciare la facoltà di teologia ed ad  iniziare una nuova avventura al dipartimento di storia dell’arte nella facoltà di lettere. Tornando a Malta con questa esperienza di sei anni in architettura in scultura e pittura la Curia mi fa membro della commissione d’arte sacra. Devo vedere con gli altri le opere nuove che si fanno nelle chiese”.

La comunità degli italiani a Malta

Il Vescovo mi chiama e mi dice “sei stato a Milano quindi ti affido la comunità degli italiani”. Io gli faccio presente che sono già molto preso dalle tante cose che faccio ma lui dice che si tratta di dire solo una messa la domenica alle 11.00.
“L’11 ottobre ’83 sono venuto in questa chiesa a dire la mia prima messa in italiano. Entro, e trovo questa chiesa brutta e trascurata poi mi accorgo che c’è un quadro di Mattia Preti. La domenica, a Messa, vedo forse una trentina di persone, pochissimi italiani. Tutti anziani sposati a maltesi.
Il lunedì vado in ambasciata e chiedo di parlare con l’ambasciatore Negrotto Cambiaso il mio primo ambasciatore italiano. Mi presento e dico che sono il nuovo parroco degli italiani e gli dico che non l’ho visto in chiesa. Lui mi dice che con la moglie e i figli va in chiesa dai carmelitani. Chiedo se ci sono ragazzi italiani e mi dice che ci sono cinque aule a Lija. Vado a Lija, incontro il preside della scuola che mi dice che i ragazzi non fanno religione perché la scuola non ha nessuno che insegna religione. C’erano una settantina di ragazzi ed io mi offro di fare religione a partire dal giorno dopo. Raccontando un po’ i miei studi al preside, mi propone di insegnare arte nella sua scuola. E così ho cominciato ad insegnare Storia dell’arte alle medie”. “Ho scritto una lettera ai genitori degli alunni. Ho scritto che avevo incontrato i loro figli e che venerdì avrei cominciavo catechismo a Valletta alle 17.00 alla Casa dell’emigrato. Sono venuti quasi tutti”.”Poi ho cominciato ad incontrare, i fidanzati. Stiamo parlando ancora del ’87, ’88, ’89, non c’era questa grande presenza di italiani.

Gli slogan di Don Gino

Oggi gli italiani a Malta sono oltre diecimila. Sono in contatto con tanti i giovani che devono fare la cresima. Tutte le preparazioni le faccio per ogni singola coppia, non faccio gruppi. Invece di fare dieci incontri per un gruppo, faccio cinque incontri personali e lì naturalmente nasce un’amicizia”.
Ho già un poster da mettere nei locali di Paceville di “Non aspettare che tua sorella faccia un bambino per fare la cresima, contattami oggi!”. Poi ho iniziato a dire la Messa il sabato pomeriggio. Da poco c’è anche la Messa in italiano a Marsascala, siamo partiti con il botto perché alla prima messa avevano già una trentina di persone poi siamo arrivati anche a 52 fedeli.
Per invitare a partecipare alla Messa dico, “la domenica mattina alle dieci e mezza organizzo un happy hour“!
Posso raccontare un fatto che è successo? Sono stato in un ristorante italiano a Valletta, parlo con il proprietario e gli dico “sai che ho un ristorante all’entrata di Valletta?” ” Apro la domenica mattina verso le nove e mezza fino all’una: faccio un 150 coperti e poi chiudo”. Mi dice ” in 2 ore fai 150 portate’? gli dico “Sono il parrocco italiano nella chiesa degli italiani ma tu non sei mai venuto”.

Don Gino vuole dare un messaggio agli italiani che vivono a Malta?

Si, certamente. “Non cercate L’Italia a Malta, non la troverete mai!”

Intervista a “Don Gino” il parroco degli italiani a Malta ultima modifica: 2019-08-28T14:36:51+02:00 da Paola Stranges